Il viaggio estremo di Adalberto Buzzin per capire la vita a quelle latitudini. Adalberto ci racconta la sua ultima avventura che si è svolta tra dicembre 2019 e gennaio 2020 alla scoperta della Kamchatka e della Jakutzia.
Foto e testo di Adalberto Buzzin
Un volo aereo da Mosca, senza neve, in 10 ore mi porta Yelizovo a 30 km da Petropavlovsk, il capoluogo della Kamchatka
La Kamchatka, tra il mare di Okhotsk e il mare di Bering a sud, è bagnata dall'Oceano Pacifico. Lunga 1000 km, dicono sia la regione più bella della Russia e forse del mondo. Chiamata la Terra del Fuoco e del Ghiaccio, conta duecento vulcani, foreste lussureggianti, fiumi cristallini ricchi di salmone, branchi di cervi, sorgenti di acqua calda termale, lava solidificata che rinvia a un paesaggio lunare. Infatti gli astronauti russi fanno allenamento e studi proprio su questa splendida penisola. Questa terra è stata scoperta nel 1696 da un cosacco mezzo yakuto, Vladimir Atlasov, un avventuriero in cerca di terre da depredare.
Kamchatka e Yakuzia. Posti leggendari e luoghi da toccare con mano
Arrivato a Yelizovo con l'amico Andrei, ci attende Denis, un ragazzo molto bravo e manager di una grossa ditta locale, con la sua Toyota Land Cruise (con la guida a destra), importata dal Giappone. Partiamo subito alla scoperta di questo territorio. Arriviamo al cippo dove c'è scritto: qua inizia la Russia, sopra il masso di pietra ci sono gli orsi con in bocca un salmone, il simbolo della Kamchatka
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Cielo azzurro, molta neve, siamo a -10°, ma il tempo in Kamchatka cambia rapidamente e lo vedremo il giorno dopo.
Andrei e la Russia estrema
Una sosta veloce al mercato del pesce a pochi km dal centro di Yelizovo a comprare salmone e caviale, super qualità e ottimi prezzi. Un kg di pomodori (che pomodori non sono, come si vedeva dal colore) costava invece 14 euro. Iniziamo a vedere i primi vulcani ricoperti di una neve candida e bianchissima, ci dirigiamo a Paratunka, un villaggio ricco di acque termali, ricoperto dalla neve, dove alloggeremo in una piccola baita in legno.
Dopo una cena ricca di salmone e caviale, andiamo a fare il bagno nella piscina scoperta con acqua termale molto calda, circondata dalla neve e dal ghiaccio, uno spettacolo. Inizia a farsi sentire il fuso orario (avanti di 11 ore rispetto all'Italia), una bella dormita e domani iniziamo la visita della Kamchatka.
Aeroporto della capitale Jakutsz
La mattina con Denis, l'amico di Andrei, ci dirigiamo verso il mare, Oceano Pacifico; tira un vento fortissimo e non promette niente di buono, le strade sono completamente bianche, pochissimo traffico, giungiamo al mare, spettacolo infernale, cielo plumbeo, mare agitatissimo, la spiaggia è di lava, il freddo si fa sentire, quando le onde toccano la spiaggia la schiuma diventa ghiaccio e vola via come foglie al vento. Mai visto uno spettacolo del genere. Fantastico.
Sono in difficoltà a filmare e fotografare a causa del vento fortissimo che sferza tutto il corpo. Comincia anche a nevicare, ma sembra neve trasportata dai vulcani, il vento aumenta, siamo chiusi in macchina e inizia il rientro. Un grande buran (una tempesta) ci sorprende strada facendo, velocità è di circa 20 km/h, non si vede la pista, la macchina ondeggia. Dopo 45 km troviamo un piccolo bar e ci rifugiamo all'interno sperando che passi presto. Niente da fare, dopo un'ora il solito spettacolo, un turbine di neve ghiacciata. Riprendiamo comunque la macchina e proseguiamo il viaggio verso casa, dopo un paio d'ore ci siamo, il vento non cessa, se continua così resteremo bloccati, per fortuna durante la notte Eolo si ferma e fa respirare la natura.
-30°
La mattina dopo, appena si alza il sole, ci dirigiamo in un villaggio coriaco. I coriachi (o coriacchi) sono un gruppo etnico asiatico che vive nell'omonimo circondario, nell'estremo oriente della Russia, lungo le coste sul mare di Bering. Il cielo è azzurro, la panoramica stupenda, questi nomadi si dedicano all'allevamento dei cani da slitta, il famoso cane della Kamchatka. Sono belli, forti, vivaci e sempre cuccioloni, abituati a lavorare duro, da adulti riescono a fare anche viaggi di 1500 km a tappe in condizioni estreme. Mangiamo qualcosa nella casa del coriaco, siamo ospiti, ci racconta la sua vita fatta di grandi spazi e tanti silenzi; il volto è sereno, il sorriso spontaneo, il coltello alla cinta tramandato dai suoi avi, un mix tra un guerriero e un sognatore romantico, i suoi racconti si perdono nel bianco che mi circonda.
L’uomo vive in una piccola baita in legno, calda e confortevole, le finestre sono minute, un gattone dal pelo lunghissimo dorme vicino la stufa, mangiamo funghi e formaggio, sorseggiando un tè che sa di bosco. Il coriaco, di nome Anatoli, ci mostra la sua piccola cantina, dove lavora, conserva il cibo congelato per i cani, le slitte e mille attrezzi per la sua attività. Non butta via niente, un chiodo storto o una bottiglia rotta potrebbero servire per qualche lavoro. Prende con maestria il coltello e con l'indice tocca la lama, per capire se è sempre affilata, movimenti calmi e sapienti, che già visto in passato. Queste situazioni mi rilassano, mi distendono i nervi, vivo una realtà che non mi appartiene, ma la vivo dentro.
Arrivo a Petropavlovsk
Lasciamo questa magnifica terra, un volo di quattro ore ci porterà a Vladvostok. Arriviamo in tarda mattinata, il treno diretto per la Jakutzia partirà alle 24.30, abbiamo il tempo di fare una passeggiata fino alla grande piazza, mangiare qualcosa e riposarci un paio d'ore in un alberghetto in attesa della partenza. La città la ricordavo più spartana, ma sono passati tanti anni e il mondo gira velocemente, sempre bella comunque con il suo magnifico e importante porto che si affaccia sulla baia del Corno d'oro, dove sono parcheggiate le enormi navi rompighiaccio. Con Andrei passeggio, ma la mente è già in Jakutzia, sul fiume Lena, dove il ghiaccio, il freddo e la neve saranno i miei compagni di viaggio.
Arriva la partenza con il treno. Controllo passaporti e faccio qualche sorriso al capotreno, sempre donna. Andiamo a sistemarci nel nostro vagone; coperte mai usate, lenzuola, federe, ciabatte e spazzolino con dentifricio e due bicchieri per bere il tè o il caffè. In ogni vagone c'è un samovar, contenitore di acqua calda (anzi bollente) sempre attivo 24h su 24h, disponibile per tutti i passeggeri. I finestrini non si aprono, vietato fumare, per altre cose chiedere al capo treno.
Il treno impiegherà quattro notti per arrivare in Jakutzia. Partenza da Vladivostok, attraverseremo le seguenti città e villaggi: Habarovsk, Birobidzhan, Belogorsk, Simanovsk, Magdagachi, Tynda, Nerjungri, Aldan, Tommot. Nomi magici ai più e sconosciuti quasi a tutti. Come sempre puntuale alla partenza e all'arrivo, facciamo subito amicizia con la padrona del vagone, che ci riserva uno scompartimento solo per noi; questo è un grande vantaggio, il tempo passa tra letture, chiacchiere, pranzi e cene. Il problema maggiore è la notte, all'interno fa caldissimo, 23/24 gradi, impossibile dormire, ti giri, ti volti, bevi acqua, ma non riesci a riposare; la manager del vagone, di nome Enghelssina in onore al filosofo Engels, carica la stufa di carbone che scalda il vagone al massimo. Questa è una prassi, perché se cala la temperatura si potrebbero ghiacciare i condotti e il treno resterebbe senza riscaldamento, sarebbe un grosso guaio. Il treno è molto lento nella sua corsa, si può godere della panoramica nelle poche ore di luce.
Per fortuna ogni tanto si ferma. Ci si può vestire e scendere a respirare un po’ di aria cristallina; le fermate possono essere di 10/20/120 minuti (solo una) e questo è un sollievo. Arriviamo a Aldan, piccolo villaggio in Jakutzia, bisogna cambiare treno dopo tre notti quasi in bianco. Il momento più duro, questo treno non ha scompartimenti, siamo tutti accampati all'interno alla bene e meglio, praticamente uno sopra l'altro, inutile dire che ci aspetta un'altra notte in bianco. Loro sono abituati a viaggiare in queste condizioni, sanno cosa fare e come fare, si mettono subito in pantaloni corti e camicetta leggera e poi iniziano a prepararsi il cibo, tutto nella norma, tutto spartano, tutto vero.
Nelle difficoltà c'è sempre un momento di fortuna. Infatti per passare il tempo andiamo nel vagone ristorante, tutto occupato, ma vediamo una coppia che occupa un tavolo da quattro. Chiediamo gentilmente se possiamo sederci anche noi. Sono molto gentili, lui russo di nome Olek, lei jakuta, Elisabetta, ci fanno spazio e iniziamo a parlare; tutto il vagone mi guardava essendo l'unico bianco. Ero un punto di riferimento, mi distribuivano ampi sorrisi e inviti a bere vodka, declinavo a volte con dispiacere. Durante la cena i nuovi amici vengono a sapere del nostro viaggio e della corsa programmata sul fiume Lena.
Non riuscirono a trattenersi: siete pazzi! Nel frattempo arriva la cena, quattro uova con pancetta e acqua minerale, la vodka è offerta dai nostri amici come da consuetudine.
I due però ci stupiscono: “Vogliamo venire con voi” – dicono – prendendoci di sorpresa. Con un giro di telefonate alla sosta del treno ci fanno sapere di aver procurato una Uaz 452, che alle 3 del mattino ci aspetterà a Tommot (un piccolo villaggio). Restiamo basiti ma nello stesso tempo felici, prendiamo gli ultimi accordi e ci auguriamo la buonanotte. Si fa per dire. Alle 2 del mattino il treno arriva a Tommot, scendiamo e incontriamo i nostri amici sorridenti che ci portano verso la Uaz (o Bukhanka).
Inizia l'avventura, scendiamo lungo piste completamente buie per ore e ore. Poi finalmente il Lena. Notte fonda, la luce arriverà verso le 9.20/30. Ci fermiamo in un piccolo bar sbucato dal nulla, un caffè bollente e un pezzo di pane aspettando l'alba; la signora del bar è stanca, ma il nostro arrivo ha rotto la monotonia della notte, calma e tranquilla, come tutti del resto, ci regala sorrisi e poi si mette a parlare per saperne di più. Stiamo bene al caldo e veniamo presi da una leggera sonnolenza, dopo quattro notti in bianco è più che naturale. Sappiamo che fuori sta per iniziare una metallica aurora, i motori si scaldano, la Uaz è rimasta sempre accesa, spegnerla con queste temperature potrebbe essere pericoloso.
Entriamo nel fiume Lena completamente ghiacciato, spessore del ghiaccio dicono sui tre metri; la Uaz folleggia sulla pista, ci alterniamo alla guida, velocità molto bassa anche per vedere se troviamo qualche nomade o avventuriero. Faccio un resoconto dei miei pensieri: il fiume mi attende, il treno si ferma alle 2 del mattino. Fuori fa un freddo cane, siamo in Taiga, la Uaz è ferma vicino la stazione avvolta dai fumi dello scarico. Una coppia, lui russo lei jakuta, ci hanno preso in simpatia, conosciuti sul treno vogliono venire con noi, troppo pericoloso continuano a ripeterci. Anche per loro è la prima volta sul fiume. Partiamo, è notte fonda e la pista che ci porta dentro il fiume è stretta e piena di gobbe di ghiaccio, bisogna andare molto piano anche perché si vede poco e male; ecco il Lena, lungo 4400 km, noi ne faremo 180/200 circa. In macchina c'è silenzio, ci alterniamo alla guida io, Andrei e il proprietario della 452. Andiamo molto lenti, sui 30 km/ora, è ancora buio pesto, cerco di guardare dal finestrino ma vedo solo la pista di ghiaccio bianca. Un'emozione mi stringe la gola, rivedo volti che non potrò rivedere, mamma e papà, un pensiero alla mia famiglia che sento sempre vicina e magari mi guardano da lassù dicendomi: non cambi mai figliolo, fai attenzione.
Chiedo qualcosa riguardo a nomadi, pastori, disertori ecc. Ma nessuno sa nulla, dicono che sono andati a nord dove il clima è più estremo, incomincia l'aurora un blu elettrico che merita la foto anche se fuori fa -40°. Non si vedono camini fumanti, forse i soli pellegrini siamo noi. L'alba sorride con qualche sberla di freddo. Ci fermiamo e facciamo il caffè. Andrei si porta sempre dietro fornello e caffè, sorrido e dico che porta roba che non serve, ma in questi momenti è fondamentale. Tre metri di ghiaccio, così dicono, si parla poco, solo sguardi per rubare l'emozione, ma io sono felice e un po’ stanco per le quattro notti in treno quasi in bianco a causa della temperatura elevata dello scompartimento. Si riparte sempre con velocità lenta; vediamo uno, due, tre, camion kamaz, vuol dire che siamo vicini alla capitale Jakustz: ancora 80 km e il sogno finisce. I nomadi siamo noi su una lastra di ghiaccio troppo lunga per poterla raccontare. Un pescatore solitario e una ciminiera in lontananza mi fanno capire che siamo giunti alla meta dopo 10 ore di taiga ghiacciata. Entro in camera e mi butto sul letto esausto, non vedo Andrei, sento solo rumori lontani, poi più niente.
Prima di lasciare questa splendida regione, grande dieci volte l'Italia, con una popolazione di un milione di abitanti, completamente ghiacciata per tanti mesi all'anno ripenso al viaggio: nomadi, pastori, disertori, ecc. nessuno sa nulla, dicono che sono andati a nord, -40°, non si vede niente, forse i soli pellegrini siamo noi su questa lastra di ghiaccio, mi tengo questa emozione fredda per me, un giorno quando il fisico dirà basta, ci saranno quattro foto per ricordare momenti unici vissuti intensamente.
Il must del viaggio è stato compiuto, la stanchezza si nota sui visi segnati, più che dal fiume, dalle notti in bianco passate sul treno. Adesso ci attende una trasmissione televisiva. La conduttrice Katia si è dimostrata gentilissima e incuriosita; accettiamo l’invito in un villaggio jakuto presso una famiglia favolosa che cucina per noi il famoso pesce bianco (completamente congelato, si taglia a fette e poi si inzuppa nel sale). A Mosca incontriamo un senatore che ci ospiterà nella sua stupenda dacia fatta tutta con il legno di betulla. Tutto fa da cornice alla fine del viaggio.
Mosca stranamente è ancora senza neve. Rimango nella casa di betulla, non vedendo il bianco non trovo l'emozione, resto con i miei pensieri siberiani, tutto passa davanti ai miei occhi, rivedo volti, piste ghiacciate, sorrisi, isbe ricoperte di neve e tutte le famiglie che mi hanno aperto la porta come un vecchio amico. Cose semplici, cose passate che rivivo in questo presente ormai lontano dal mio cuore. Forse cerco il ghiaccio per scioglierlo.
Adesso la mente è rilassata e già vola oltre il 66° parallelo, dove si trova una città proibita completamente isolata e coperta dal freddo, e penso che sarà un'altra bella storia da raccontare.
La Mia Siberia
E' in libreria LA MIA SIBERIA, il libro dedicato ai viaggi siberiani di ADALBERTO BUZZIN. 170 pagine, 100 foto, tante storie, tanti km e tante emozioni.
Adalberto "il Siberiano" Buzzin
"Quanti anni hai? Il problema non è quanti anni ho, ma quanti chilometri ho percorso
Il viaggio lo devi sentire dentro, non puoi costruirlo con i racconti degli amici, devi partire, devi vivere sulla strada, per saper raccogliere tutti i momenti che ti offre; regalati un sorriso e parti." Adalberto Buzzin
Fin dall’età di 18 anni la sua passione per i viaggi, l’avventura e la scoperta lo hanno fatto girare per il mondo. Ha cercato di migliorare viaggio dopo viaggio, emozione dopo emozione, con cammini alternativi ed insoliti ma che hanno uno sfondo di cultura, tradizione e storia. Famosi sono le sue spedizioni in Renault4, 900.000 km, tra Europa, Asia, Africa e Medio-Oriente, le sue attraversate in autostop in Africa Nera e Sahara. Ha organizzato viaggi a tiratura internazionale come la Udine-Vladivostok in invernale con macchine di serie, la Venezia-Tokyo, 65 giorni di viaggio e 17000 km di emozioni, Islanda in invernale. Di tutti questi viaggi ci ricorda un aneddoto molto particolare: “in un villaggio siberiano dimenticato anche da Dio, scatto una foto ad una babusca, nonna, la quale sorridendo ci invita a bere un tè e al lasciarci mi dice: "Molta gente pensa a mettere i soldi in banca. Io sono contenta di mettere i ricordi nel cuore." Ho tremato dentro…” oppure un "avventuriero" incontra una bella ragazza la quale gli domanda: "Quanti anni hai?" Ed egli gli risponde: "Il problema non è quanti anni ho, ma quanti chilometri ho percorso........"
L’ideatore e il principale organizzatore delle sue spedizioni è Adalberto stesso, detto Ada, nato nel 1954 a Cormons (Gorizia), assicuratore per professione ma viaggiatore per vocazione con la passione per la fotografia. Ha al suo attivo l’organizzazione e la realizzazione di molti "raid" in automobile, fra i quali possiamo ricordare, solo per citare i più recenti: Transafricana, Cuba, Libia, Albania e Moldavia, Islanda in inverno ,Siberia occidentale alla ricerca di Rasputin, da Venezia a Tokyo in macchina (con 2 Renault Kangoo) Transnistria e Gagauzia e da ultimo in Yakuzia (Siberia nord-orientale) a bordo di una. Durante i suoi viaggi, Adalberto è solito realizzare reportage fotografici e documentari, spesso pubblicati su riviste specializzate di settore.
Buzzin è uno dei pochi “specialisti” di viaggi in Siberia, in russo terra addormentata, dalla quale è rimasto ammagliato ed affascinato. La Siberia è un continente, un nuovo mondo, montagne, fiumi, laghi e genti sconosciute. “Nel disegnare i suoi percorsi sulla cartina ho provato la sensazione di varcare un confine impossibile, anche perché per anni abbiamo guardato alla Siberia frettolosamente senza mai soffermarci nei dettagli di nomi, regioni, stati. La gente conosce la famosa Transiberiana che partendo da Mosca dopo nove giorni raggiunge Vladivostok, oggi ci si apre un confine immenso, un territorio affascinante che va dagli Stati Uniti al Mar del Giappone, dal Circolo Polare Artico ai confini con la Mongolia, un territorio immenso compreso tra le steppe siberiane e le catene montuose che fanno da confine con l’Afghanistan, il Pakistan, la Mongolia, la Cina. Una regione dove la realtà e le leggende si confondono, dove il viaggiatore più esperto assapora momenti e sensazioni in altri luoghi irripetibili, dove la storia è padrona e la Siberia ti avvolge nel suo misticismo e ti protegge con le sue Isbe, i suoi abitanti, le sue leggende e i suoi villaggi sperduti, lontani ma vivi, veri, forti. In Siberia non puoi ragionare o fare programmi, ma solo confidare in lei…”
Adalberto intende il viaggio non come semplice occasione di vacanza e turismo, ma come luogo e momento di conoscenza e maturazione, anche interiore, attraverso il contatto con culture, popoli e realtà diverse dalle nostre, ma non per questo meno degne di considerazione. Ma leggiamo le sue parole su questo interessante argomento: “ ... il viaggio? Dall'età di 18 anni è stata sempre la mia grande passione, leggevo i classici: Marco Polo, Colombo, poi Lino Pellegrini, con cui ho avuto la fortuna di viaggiare, Nino Cirni, il padre dei raids, Giuliano Giongo, poco conosciuto, ha vinto il Camel Trophy nel '82 e ha fatto imprese impossibili. Crescevo con loro, ma intanto macinavo km su km, con la mia piccola R4, compresa una dakar, ma erano altri tempi, forse più veri ..., poi sono passato all'autostop, Africa, Europa, Asia, e così, anno dopo anno, km dopo km, la mia esperienza, cultura, padronanza di me stesso, aumentava sempre di più. Compio delle piccole imprese leggendarie: attraversamento della Siberia in invernale con delle Kangoo di serie, poi vado in Islanda i invernale, seguo le orme di Marco Polo fino in Giappone, cerco e trovo il pro-nipote di Rasputin, attraverso la Siberia 8 volte, respiro l'aria della Mongolia, tocco Magadan, la porta dell'inferno, un viaggio che ti riempie la vita e ti svuota fisicamente ...., ma l'emozione è indescrivibile!! Visito, l'Asia, l'Africa, il Medio Oriente, il Caucaso, l'America centrale, la Cina, ecc. ecc. ma il cuore resta in quel maledetto pezzo di terra- ghiacciata che si chiama Siberia - non puoi programmare, devi solo confidare in Lei - scriveva un poeta russo, mai frase fu così azzeccata. il viaggio? Il viaggio lo devi sentire dentro, non puoi costruirlo con i racconti degli amici, devi partire, devi vivere sulla strada, per saper raccogliere tutti i momenti che ti offre; regalati un sorriso e parti, troverai sempre qualcosa, anche se sbagli pista, impari sempre qualcosa. Mi chiedono la differenza tra viaggiatori e vacanzieri…??... non ci sono parole, siamo su due pianeti distanti anni luce, ma questa sarebbe una diatriba che magari tocca la polemica, meglio viaggiare, scusate, meglio sorvolare. La mia filosofia è sempre stata quella di partire per arrivare a destinazione, ma lungo il percorso raccolgo tutto, cambio idee, cambio strada, perché qualcuno del posto mi dice che è meglio arrivare a nord piuttosto che a sud, ho sempre trovato sorprese meravigliose, seguendo i consigli dei locali; poi arrivo alla meta e non mi volto indietro, ma guardo ancora quello che mi manca, quello che vorrei toccare per poi raccontare: I ricordi? In età più matura, quando certe forze e certe voglie si addormentano ..., ma penso e spero che questa maturità arrivi il più tardi possibile, vi posso dire che quello che pensavo a 18 anni lo penso tutt'ora anche se qualche lustro è passato, però vissuto…”
Il freddo? E’ il calore dei miei pensieri!
Adalberto Buzzin, esperto viaggiatore e profondo conoscitore della Siberia ci fornirà utili consigli per affrontare al meglio un viaggio nei luoghi freddi.
Come viaggiare nel freddo? Dopo il caldo sahariano e il caldo umido del sud-est asiatico, mi sono innamorato del freddo siberiano. Perchè? Difficile dirlo, forse perché a volte mi sembra di sentire il rumore del freddo cristallino. Vi trovo un'armonia unica. Il cielo di notte dipinge la pista, la sigaretta brucia i guanti, lo sguardo è sempre su quella collina che al tramonto si tinge di rosa. Intorno a me c'è un silenzio strano, si sente il ghiaccio salire se rimani fermo, devi correre dentro un'isba, casetta russa in legno, dove una pecka, stufa, ti riscalda le ossa. Si parla di -50°!
Come prepararsi per un esperienza del genere? Consiglio una visita medica, almeno cuore e pressione. Per i diabetici, sarebbe un problema non da poco; si ghiaccia tutto, come farsi l'insulina se non si trova per la sera un posto caldo? E’ fondamentale vestirsi a cipolla; è un metodo che funziona. I vestiti tecnici europei funzionano bene anche se è un cappotto siberiano e un paio di valenki (stivali in feltro) valgono più di 100 marche. Un siberiano, sapendo che mi dirigevo nella zona di Magadan, dove le temperature di notte scendono parecchio, mi consigliava su come affrontare le temperature estreme: respirare piano, se respiri in maniera agitata rischi che ti si congela tutto all'interno. Camminare sempre con il solito ritmo, non fermarsi, il freddo sale dai piedi e ti blocca. Non bere Vodka, allarga i capillari e quindi hai molto più freddo, anche se all'inizio sembra il contrario. Mangiare lardo o cibi molto pesanti e ricchi di calorie. Mi è successo una volta, scendendo dalla macchina per fare una foto, senza il copricapo, che una volta risalito in macchina, dopo circa 30 minuti, tremavo. Io non ho mai febbre, ma quella volta scottavo e scottavo parecchio. Un mio amico medico mi aveva dato un antibiotico che faceva miracoli, finalmente trovo un villaggio, mi fermo, busso alla casa e chiedo acqua per mandare giù il pillolone, dato che in macchina era tutto ghiacciato. La babuska, nonna, mi guarda e mi dice di sedermi; prende una Vodka, la scalda, aggiunge del pepe nero e mi ordina di bere. Rimango allibito, sono le 10.00 del mattino di un giorno dimenticato; insiste, accetto e bevo. Ringrazio e la nonnina mi dice che queste sono le vere medicine siberiane, anche perchè non hanno altro. Sarà stata la Vodka, sarà stato che il mio fisico ha reagito bene, sarà stato il fattore psicologico ma dopo 20 minuti ero in piena forma!
Alla faccia del consiglio medico di non bere alcolici. Oppure, in un’altra occasione, volevo fare una foto notturna, c'era una luce magica, ma dopo un minuto che ero all'esterno, gli occhi si erano ghiacciati e la macchina fotografica si era bloccata. E’ fondamentale cercare di non esagerare e non chiedere troppo al proprio fisico. Ho visto gente in maniche corte a -45°; forse sono abituati o forse sono pazzi. Il freddo siberiano ti piega, ti stanca, ti esalta. Per quanto riguarda la vettura, direi che sono fondamentali le gomme chiodate fatte con una mescola giapponese, altrimenti si disintegrano. Sono indispensabili i vetri doppi anteriori con intercapedine, altrimenti il vetro potrebbe diventare tutto bianco a causa del freddo e basta toccarlo per romperlo. Sarebbe un guaio terribile, impossibile proseguire il viaggio senza vetro. Installare manicotti, guarnizioni speciali e utilizzare olio artico tipo 0 che non si ghiaccia, si trova facilmente in Siberia come, inutile dirlo, usare il diesel artico ed infine controllare i livelli ogni giorno. Consiglio di trattare la vostra macchina come se fosse una bella donna; basta una piccola foratura per perdere almeno 2 ore in quanto è tutto ghiacciato, il freddo è intenso e i movimenti vanno fatti molto lentamente oppure si rischia grosso facendo uno sforzo eccessivo. Se proprio si deve lavorare all’esterno, riposarsi ogni tanto e poi continuare oppure, darsi il cambio con il proprio compagno di viaggio. Non toccare parti metalliche senza guanti; è peggio che scottarsi con il fuoco vivo! Purtroppo ho provato sulla mia pelle questa brutta esperienza!
E’ indispensabile il Webasto, scalda la macchina anche di notte, ma ogni 30 minuti bisogna controllare che non si spenga; se capitasse, l'indomani mattina il vostro veicolo non ripartirà più e allora bisogna trovare una stalla calda oppure accendere un fuoco per scaldare la coppa. Più di qualche volta mi è capitato di tenere la Uaz accesa tuta la notte, causa rottura del Webasto. Il riscaldatore consuma 3 litri di carburante a notte ed è indispensabile. Bisogna guidare in maniera dolce; le piste sono un tole-ondulèe ghiacciato. Inutile frenare, si rischia di uscire fuori strada e a quelle latitudini non trovi altri mezzi che ti possano aiutare; forse passa un camion dopo 2 giorni. A me è capitato di fare 5 giorni di pista ... unica persona vista? Un cacciatore di volpi, sparito subito nel nulla. Nei tornanti ghiacciati usare solo il freno motore e non toccare mai il freno, anzi il freno non esiste proprio; quindi sempre all'occhio, non siamo sulla nostra A4! Rallentare sempre la velocità quando si è in prossimità della meta, ci si rilassa mentalmente e la cosa potrebbe essere fatale. La voglia di arrivare, il desiderio di mangiare e la voglia di riposarsi possono aspettare… meglio un ora più tardi che avere un incidente. Di notte è meglio non viaggiare. Logico, mi è capitato parecchie volte, ma se di giorno sei su 50-60 km/h, di notte si fanno la metà dei chilometri, con molta fatica e sforzo perchè si vede male a causa del vetro che non è mai pulito. Il “gioco” tra neve e cielo stellato ti confondono, tutto questo è un mix pericoloso; vedi poco e male. In Siberia, le temperature di notte scendo moltissimo, dormire in macchina non è il massimo. Ho provato anche questa esperienza e non la consiglio a nessuno; possono farlo i camionisti con i loro Kamaz 6x6, ma è gente abituata al freddo e a tutte le difficoltà della Taiga e della Tundra.
Logicamente queste per me sono cose belle, emozioni vere perchè le panoramiche, le piste senza traffico, i villaggi colorati ma sepolti dal ghiaccio ti fanno vibrare dentro, ti danno delle scosse che devi viverle, non puoi spiegarle in due righe. L'accoglienza della gente… le porte si aprono subito al viaggiatore intrepido, un tè caldo, qualche fetta di lardo, qualche sorriso e poi di nuovo su quella maledetta pista bianca, carica di ghiaccio e di emozioni. Emozioni vere e ripeto vere.
Kak daoga? Com'è la strada? Chiedevo sempre ai viandanti e la risposta era sempre: brutta, sporca di ghiaccio e di fatica. Per questo, per me, bella e vera!
Alla neve.
bianca, candida, pulita, morbida, che copre tutto e avvolge i pensieri, che schiarisce la notte buia, che rallegra il tuo andar randagio su piste sempre tortuose e ghiacciate ma ricche di emozioni dedico queste pagine, sperando che possa coprirle con il suo manto bianco. E che sappia conservarle.